APEX: comprendere e gestire l’ipofosfatemia legata al cromosoma X (XLH)

Sono stati pubblicati sulla nota piattaforma di divulgazione scientifica “Frontiers in Endocrinology” i risultati del progetto “APEX” (Advancing Patient Evidence in XLH), una iniziativa globale per l’unificazione ed analisi dei dati riguardanti l’ipofosfatemia legata al cromosoma X (XLH).

L’XLH è una malattia genetica rara e progressiva, causata da mutazioni del gene PHEX che provoca livelli eccessivi del fattore di crescita dei fibroblasti 23 (FGF23). Questo porta a perdita renale di fosfato, ipofosfatemia cronica e conseguenze negative sulla mineralizzazione di ossa e denti, compromettendo la salute anche di articolazioni e muscolatura. Nei bambini, si manifestano deformità agli arti inferiori, rachitismo e rallentamento della crescita, mentre negli adulti si rilevano fratture, dolore articolare e debolezza muscolare.

Il progetto APEX (Advancing Patient Evidence in XLH) è un’iniziativa globale di raccolta dati utile a colmare alcune lacune conoscitive sulla malattia e su efficacia e sicurezza dei trattamenti. Il progetto unifica i dati di tre studi osservazionali regionali provenienti da Europa, Americhe, Israele, Giappone, Corea del Sud, per un totale di circa 2000 partecipanti pediatrici e adulti con XLH in un periodo di 10 anni. Il dataset globale ottenuto è il più grande mai realizzato per l’XLH e verrà utilizzato per affrontare domande di ricerca, con l’obiettivo di migliorare le decisioni cliniche e la pratica medica attraverso prove reali.

La ricerca comprende anche la somministrazione di Burosumab, un anticorpo monoclonale umano diretto contro il FGF23, come trattamento innovativo, alternativo rispetto alla tradizionale terapia con fosfati orali e vitamina D attiva e ne dimostra gli effettivi miglioramenti nei livelli di fosfato nel sangue, nella guarigione delle fratture, della riduzione di effetti collaterali ed in sostanza di una migliore qualità di vita nei pazienti.

Lo studio ha evidenziato differenze nei risultati terapeutici e nei percorsi di cura tra regioni, offrendo spunti per migliorare le pratiche cliniche locali ed ha fornito dati su una popolazione spesso trascurata, gli adolescenti, approfondendo i risultati a lungo termine del trattamento. Ha inoltre rilevato lacune come complicazioni dentali e deformità agli arti inferiori, non pienamente affrontate dal trattamento con Burosumab, evidenziando la necessità di studi ulteriori.

La Professoressa Maria Luisa Brandi, ideatrice del progetto, con la sua vasta esperienza nel campo delle malattie ossee rare ed in particolare dell’XLH, ha guidato e coordinato il processo di raccolta e unificazione dei dati globali, garantendo i più alti standard scientifici e etici. Ha inoltre collaborato con esperti internazionali per l’analisi dei dati raccolti, fornendo così una visione globale sulla progressione della malattia e sull’efficacia dei trattamenti.

In prospettiva, i risultati di APEX potrebbero non solo migliorare la comprensione della malattia e delle sue complicanze, ma anche fornire spunti per ulteriori studi e per lo sviluppo di nuove terapie mirate alle esigenze insoddisfatte dei pazienti con XLH.